DA ROMA SUD A MOSCA SUD. L'AquiladerKremlino del Pigneto (parte prima)






DA ROMA SUD A MOSCA SUD. L'AquiladerKremlino del Pigneto (parte prima)



Alessio Alioscia L'AquiladerKremlino Amoretti
Mosca, metro Novokuznetskaja, esterno
L'AquiladerKremlino mistico
Già pochi giorni a Mosca, nel mio primo viaggio e già un sacco di esperienze: le manifestazioni non autorizzate contro Putin, la tensione nelle strade, il comodissimo albergo Izmailovo, il freddo, la neve (fui convinto per lunghissimo tempo che al centro di Chistye prudy, la lunga piazza del centro della capitale, dietro quei cumuli di neve alti quasi due metri ci fosse un fiume al centro. Soltanto quando tempo dopo, quando tornai a Mosca in primavera scoprii che c'era invece un lunghissimo vialetto con panchine, a parte un piccolo tratto in cui c'è un laghetto, “gli stagni puliti”, appunto). Avevo fatto un sacco di cose, insomma. Non avevo ancora incontrato però L'AquiladerKremlino. Alessio Alioscia Amoretti da Velletri infatti era amico di Lucianino er laziale, due piani sotto il mio appartamento che si era tanto raccomandato di salutarlo quando fossi andato a Mosca. Insieme hanno bazzicato per anni i gruppi laziali del Pigneto. Mi aveva anche dato alcuni suoi contatti. Avevo dato un'occhiata al suo blog pieno pienissimo di immagini e testi, ingolfato all'inverosimile che manderebbe in tilt anche un Mac della Nasa. “Eliaton”, “Astrologia” e non so cos'altro di quelle cose che fanno fare un sacco di voli pindarici incollati a terra, però. “Vabbè”, ho pensato. A Mosca dopo pochi giorni mi tornò in mente: “Devo portargli i saluti di Lucianino”. Lo contatto. Lui con una voce molto seria mi fa: “Ah ok, vediamoci alla metro Novokuznetskaja” (il suo luogo del'anima, scoprirò poi). Vado e aspetto. Provo ad immaginarlo per riconoscerlo: mi hanno detto che è lazialissimo, romanesco ma non molto di più. Scruto. Da lontano vedo avanzare un tizio ciccionissimo, capelli lunghi sulle spalle e che avanza a fatica. “No!”, faccio. Si avvicina sempre di più. Una sciarpa della Lazio gli parte dal piede destro e attraversando tutta la circonferenza, il collo e le spalle, finisce quasi all'altezza del piede sinistro. “No!”, faccio. Viene subito verso di me, serissimo. “Ciao. Alioscia?”, faccio. Lui si guarda un po' circospetto in giro: “Sì”. “Sono l'amico di Lucianino”. Mi fa: “andiamo a berci e a mangiare qualcosa qui vicino. C'è un pub irlandese”. Sono circa le 15-15,30. Io avevo mangiato da un'oretta. “Ok”, anche un po' sorpreso che a Mosca, di tanti locali, proprio in un pub irlandese. Il locale è quella cosa un po' nordeuropea con capelloni e hard rock classico e un po' dozzinale che in genere si sente da quelle parti. Una volta dentro, Alioscia si scioglie un po' (aveva parlato pochissimo durante il tragitto) anche perchè era un habituèe del posto. “Hai mangiato?” mi fa. “Sì, non ti preoccupare”. Ordina due porzioni giganti di uova all'occhio di bue e mezza tonnellata di patatine a testa. “Grazie Alioscia, ho mangiato”. Nemmeno mi sente e ordina due boccali giganti di tè bollente (una delle bevande che più detesto). A quel punto comincia a mangiare a quattro ganasse e inizia a parlare, parlare, parlare. S'è portato anche il computer per mostrarmi i suoi lavori, le sue opere, le poesie e parla parla parla. Mangia moltissimo anche mentre parla. Il mio piatto è praticamente intatto come quando me l'hanno portato mentre lui si è spianato tutto il suo. “Non lo vuoi? “. “Non ti preoccupare, mangiati il mio”. Finisce il suo tè. “Posso bere il tuo?”. “Vai”. E mi parla, mi parla di tutto, di ogni cosa, mi racconta persino particolari intimi e piccanti di suoi incredibili amori e del fascino con cui attrae ragazze di ogni tipo. È lui l'inventore del concetto “la moglie parallela” (chiamata in genere volgarmente “l'amante”). In lui, che trasforma ogni atto o pensiero di sé stesso in loop, l'amante parallela tornerà spesso nei discorsi. Ordina un'altra identica porzione per tutti e due. “Alioscia grazie: ho mangiato!”. “Ah ok”. “Mangia tutto e beve l'odiato litro e mezzo anche mio, senza nemmeno particolare sforzo. E racconta, racconta e io penso in silenzio, guardandolo perplesso: “Ok, il dovere mio l'ho compiuto, i saluti di Lucianino gliel'ho portati. Stiamo apposto così, arrivederci e a dio piacendo”. Ma mi sbagliavo. (continua...)

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